FAMIGLIA - In calo i consumi reali delle famiglie

Nel 2008 i consumi reali delle famiglie si contraggono. E a registrare il calo più accentuato delle spese sono le regioni del Sud. E’ l'analisi dei consumi delle famiglie italiane nel 2008 elaborata dall'Istat. L'anno scorso, secondo i dati, la spesa media mensile per famiglia è stata pari a 2.485 euro, un dato che risulta praticamente uguale (+0,2%) a quello dell'anno precedente. La spesa media mensile totale varia da un minimo di 1.692 euro per le famiglie composte da un solo individuo a un massimo di 3.251 euro per quelle di cinque o più componenti. E tra queste ultime si osserva la quota di spesa più elevata per i generi alimentari: 21,2% contro 18,4% delle famiglie di un solo componente. Se per le famiglie numerose è la tavola ad assorbire la maggiore parte dei budget, per le famiglie di un solo individuo è invece l'abitazione che incide per il 34% sulla spesa mensile totale contro il 21,2% delle famiglie di cinque componenti e più. Laddove è una donna a tenere in mano le redini, la spesa è di 2.050 euro e di 2.673 euro se, invece, il capofamiglia è un uomo.


Differenze geografiche. Tra le famiglie del Nord, la spesa per beni e servizi non alimentari è pari a 2.346 euro, nelle regioni centrali, invece, è di 2.066 euro. Nel Mezzogiorno, infine, la spesa scende ulteriormente arrivando a quota 1.468 euro. Il Veneto si conferma la regione con la spesa media mensile più elevata, pari a 2.975 euro, seguita da Lombardia (2.930) ed Emilia Romagna (2.854). Fanalino di coda la Sicilia con una spesa media mensile di oltre 1.000 euro inferiore a quella delle tre regioni del Nord.


Voci di spesa: si evidenzia un aumento del peso dei consumi alimentari pari a +19,1%. Per stringere la cinghia in tempo di crisi, le famiglie hanno messo in atto strategie di risparmio: la quota di chi ha dichiarato di aver limitato l'acquisto o scelto prodotti di qualità inferiore o diversa rispetto al 2007 è superiore al 40%. E in un quadro di riduzioni dei consumi, ad aumentare sono solo le spese per combustibili ed energia. Stabili restano le spese per l'istruzione, comunicazione e tabacchi, mentre si registra una diminuzione per quanto riguarda l'abbigliamento, l'arredamento, la sanità e i trasporti sia pubblici che privati (acquisti auto e Rca).

Una famiglia su 10 fa spesa negli hard discount. Sono sempre più numerose le famiglie italiane che si rivolgono agli hard discount per acquistare generi alimentari: nel 2006 erano l'8,6%, nel 2007 il 9,7%, il 10,9% nel 2008.

Casa. La spesa media per il canone di affitto sostenuta dalle famiglie italiane mensilmente è di circa 362 euro, mentre per la rata del mutuo si spendono in media 465 euro al mese

. vai>>

LA SOLITUDINE DELLE FAMIGLIE ITALIANE.

I dati confermano che nel nostro paese il peso dell'assistenza alla popolazione che invecchia ricade quasi del tutto sulla famiglia. O meglio, sulle donne e in particolare sulle figlie adulte. Che sempre più ricorrono ai servizi delle immigrate. Ora le nuove norme sull'immigrazione sono un'ulteriore conferma che lo Stato italiano è poco attento ai veri problemi delle famiglie. Non solo le abbandona sostanzialmente a se stesse Ma rende anche più difficile e complicato il ricorso alle risposte che, con difficoltà, tentano di darsi da sole. Per esempio, tramite le cosiddette "badanti".

Più che altrove le famiglie italiane sono sole: sono meno aiutate dalle politiche sociali, e quindi più sovraccariche di responsabilità nei confronti dei propri membri più deboli, e spesso sono anche maggiormente indotte a fare un passo indietro rispetto a importanti scelte di vita. È, del resto, un dato di fatto ampiamente riconosciuto che siamo uno dei paesi avanzati con sistema di welfare più obsoleto, meno in grado cioè di proteggere dai rischi e di promuovere scelte virtuose nella popolazione. Non a caso ci troviamo con occupazione giovanile tra le più basse e una delle peggiori combinazioni nell’area Ocse tra fecondità e partecipazione femminile al mercato del lavoro.

LAVORO FEMMINILE COME RISPOSTA ALL’INVECCHIAMENTO

La persistente denatalità dell’ultimo quarto di secolo ci ha fatti diventare uno dei paesi al mondo con maggior invecchiamento. Siamo però anche meno attrezzati a rispondere alle sfide che tale processo pone, proprio per la fragilità del nostro sistema di welfare e la bassa occupazione di giovani e donne. Svezia e Francia, ad esempio, hanno livelli di longevità simili ai nostri. Il cruciale rapporto tra anziani inattivi su occupati è però notevolmente peggiore nel nostro paese: uno su due, contro una media Unione Europea a 15 del 38 per cento. La causa è la nostra più bassa fecondità, che rende più pesante il numeratore, unita alla minor partecipazione femminile al mercato del lavoro, che rende meno corposo il denominatore.
Questo significa che le famiglie italiane, già tradizionalmente sole, si trovano con un crescente aumento della domanda di cura e assistenza dei propri membri anziani non autosufficienti. E che la spesa per protezione sociale, già ora molto squilibrata, è destinata a essere ancor più sbilanciata verso pensioni e sanità.
È ampiamente riconosciuto che una delle risposte principali all’invecchiamento della popolazione passa attraverso l’aumento dell’occupazione femminile, indispensabile per rendere più sostenibile il sistema delle finanze pubbliche da un lato, e più solido il benessere economico delle famiglie, dall’altro.
Ma proprio la combinazione tra accentuato invecchiamento e gravi carenze del sistema di welfare pubblico rischiano di comprimere la partecipazione femminile al mercato del lavoro. (1)

LE BADANTI COME RISPOSTA ALLE CARENZE DEL SISTEMA DI WELFARE

L’indagine Galca, Gender Analyses and Long Term Care Assistance, realizzata nell’ambito di un progetto promosso dalla Commissione europea e coordinato dalla Fondazione Giacomo Brodoloni, ha confrontato Italia, Danimarca e Irlanda, analizzando costi, strutture e responsabilità familiari. Nei primi due paesi, più del 90 per cento degli anziani viene assistito a domicilio o in appartamenti attrezzati, mentre l’Irlanda registra una quota di assistiti in “istituti” – case di riposo o residenze sanitarie – superiore al 20 per cento. Quando l’assistenza è a domicilio, però, in Italia è quasi esclusivamente un familiare, prevalentemente donna, che si fa carico degli anziani, mentre in Danimarca è il servizio pubblico.
I dati confermano come nel nostro paese il peso dell’assistenza alla popolazione che invecchia ricada quasi per intero sulla famiglia, o meglio sulle donne, e in particolare sulla generazione delle figlie adulte. Queste ultime si avvalgono sempre più dei servizi delle immigrate. In Italia troviamo infatti il maggior numero di lavoratori stranieri impegnati in quelli che statisticamente vengono chiamati “servizi alle famiglie”: il 10,8 per cento del totale, contro l’1,2 per cento del Regno Unito e l’1,9 per cento degli Stati Uniti.
Secondo stime prudenti, le sole badanti (escluse le colf) sono complessivamente 700mila, delle quali almeno 300mila senza permesso di soggiorno. Va detto che larga parte degli stranieri che lavorano nel nostro paese, a causa dei vincoli della legge vigente, entra comunque in Italia in modo irregolare. La successiva regolarizzazione per chi trova un impiego presso una famiglia non è però né semplice e né scontata. Una condizione che rimane quindi problematica e instabile, a svantaggio di tutti. Molte famiglie si trovano da un lato con un problema apparentemente risolto, ovvero con una persona che svolge l’attività di cura necessaria, ma dall’altro con un nuovo problema, ovvero la lunga e complicata procedura per sanare la situazione di irregolarità della colf o badante attraverso la lotteria del decreto flussi che fissa quote limitate. Ora, il Ddl sicurezza rende le cose, se possibile, ancora più dolorose e complicate con la norma che punisce a titolo di reato l’ingresso e il soggiorno illegale degli stranieri.
A perderci sarà la parte più virtuosa dell’immigrazione, le famiglie italiane con maggior necessità di assistenza, ma anche il sistema paese nel suo complesso. Supponiamo infatti che i cittadini italiani decidano di osservare rigorosamente la nuova legge. In tal caso, crollerebbe il sistema di welfare informale e precipiterebbe ulteriormente l’occupazione femminile. Un disastro, tanto più in una fase di recessione come l’attuale.
Una delle tante conferme che lo Stato italiano è poco attento ai veri problemi delle famiglie: non solo le abbandona sostanzialmente a se stesse e tarda a mettere in campo quelle riforme strutturali al sistema di welfare che consentirebbero al paese di crescere di più e ai singoli di vivere meglio, ma rende anche più difficile e complicato il ricorso alle risposte che le famiglie tentano, con difficoltà, di darsi da sole.

Commenti

Post popolari in questo blog

La via campana per conciliare sostegno alla famiglia e sviluppo economico e sociale della comunità